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Perché abbiamo bisogno dei centri antiviolenza

Perché abbiamo bisogno dei centri antiviolenza

Piano antiviolenza, fondi stanziati e mai erogati dalle regioni. È indispensabile un controllo sociale allargato, avverte Elisa Ercoli di Differenza donna. La storia dei centri ci spiega perché.

Venerdi 25 Novembre 2016
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Perché abbiamo bisogno dei centri antiviolenza

Piano antiviolenza, fondi stanziati e mai erogati dalle regioni. È indispensabile un controllo sociale allargato, avverte Elisa Ercoli di Differenza donna. La storia dei centri ci spiega perché.

Di Elisa Ercoli.

 

Con l’approvazione della legge 119 del 2013, della convenzione di Istanbul e del piano nazionale antiviolenza le istituzioni in Italia hanno preso parola sulla violenza maschile e sul suo contrasto. Noi donne dei centri abbiamo pensato potesse essere un nuovo inizio di collaborazione con le istituzioni per poter agire insieme, in una relazione che fosse strategica a livello sistemico, ma così non è stato. Proprio a partire da questo momento, infatti, i centri hanno iniziato a vivere una nuova e travolgente insicurezza economica che, leggendo il report della corte dei conti, appare del tutto immotivata visto che i fondi sono stati stanziati ma non erogati. 

È quindi indispensabile un controllo sociale allargato che si faccia carico di richiedere certezze per il futuro dei centri antiviolenza. Anche per questo con Differenza donna prenderemo parte alla manifestazione nazionale del 26 novembre a Roma. All’interno di questa crisi importante e trasversale – istituzionale, economica e politica – e all’interno della quale sentiamo una forte necessità di ri-centrarci come protagoniste.

La situazione in corso ci porta a rilanciare un’azione politica in cui la difesa dei centri antiviolenza non rappresenti solo un vantaggio per le donne dei centri ma anche per tutte le donne, per la cittadinanza, e per la società civile.

I centri antiviolenza sono nati in Italia grazie al lavoro del movimento delle donne e all’esperienza dei consultori, che a supporto della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, hanno permesso diffusamente alle donne di incontrarsi tra loro per prendere parola su corpi, sessualità, relazioni con gli uomini, e quindi, di conseguenza, sulle violenze e gli stupri subiti in famiglia, oltre che nei contesti amicali e lavorativi.

A Roma, si avviarono gruppi di auto-aiuto e un centro antiviolenza sperimentale all’interno dell’occupazione del Governo Vecchio. Per consolidare tale esperienza serviva una indagine accurata, un confronto con le donne dei paesi che sono più avanti nella realizzazione di politiche di contrasto alla violenza, che facilitassero la denuncia della violenza maschile, la rendesse visibile, favorendo una reazione sociale collettiva di rifiuto della violenza contro le donne, bambine e bambini, risposte adeguate e una trasformazione dei costumi del paese, per un avanzamento culturale e di diritti.

Dal convegno internazionale femminista di Roma – che si tenne proprio al Governo Vecchio il 25 e 26 marzo 1978 – dedicato alla violenza contro le donne, emergeva chiaramente come i centri antiviolenza potessero costituire uno strumento strategico di queste politiche. Le donne avevano bisogno di luoghi che sapessero dare loro ascolto e solidarietà, nei confronti di una violenza che univa tutte e dalla quale tutte erano impedite a uscire a causa degli ostacoli messi in atto dagli stereotipi e dei pregiudizi patriarcali, luoghi che diffondessero una nuova ondata culturale.

Stiamo parlando di un periodo storico particolarmente innovativo ed efficace, per la particolare collaborazione tra donne di istituzioni e donne di movimento. È proprio in questo clima, nel 1989, che nasce Differenza donna, con l’obiettivo di ottenere la legge regionale per l’apertura dei centri antiviolenza nel Lazio. 

Nel 1992, ancor prima dell’approvazione della legge, che avvenne il 15 novembre del 1993, Differenza donna apriva il centro antiviolenza della provincia di Roma. Il centro nasceva come luogo gestito da donne e per le donne, un luogo a cui era affidata la responsabilità di bilanciare il potere agito dagli uomini a livello individuale e collettivo all’interno della società. 

Da poco era stata anche ratificata dall’Italia la convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna (CEDAW)[1], che obbliga gli stati dell’Ue a contrastare le discriminazioni di genere e la violenza maschile contro le donne, a eliminare gli stereotipi associati a ruoli tradizionali di uomini e donne nella famiglia e nella società come causa ed effetto della stessa problematica.

Le donne dei centri, accolte e operatrici, allo stesso modo e contemporaneamente lavorano all’emersione del fenomeno e per dare una nuova lettura della violenza maschile contro le donne. È complesso e difficile comprendere davvero e profondamente gli impedimenti strutturali e culturali che sono invece percepiti da tutte e tutti come “naturali” e non invece come sono realmente, vale a dire una “costruzione difensiva della cultura patriarcale per mantenere le donne in una sudditanza”.

Sono state proprio le narrazioni autentiche delle donne, bambine/i in uscita dalla violenza che hanno svelato realtà per le quali noi operatrici e avvocate dei centri abbiamo voluto sensibilizzare i decisori politici policy makers, i soggetti della rete territoriale e promuovere proposte di legge e avviare cambiamenti che prendessero atto di questo. 

Nella relazione tra donne accolte e operatrici è anche emerso profondamente che gli impedimenti a uscire dalla violenza hanno poco a che fare con le caratteristiche psicologiche soggettive delle donne coinvolte ma appartengono a chiunque ci si trovi, senza nessuna distinzione di livello culturale, sociale, economico, perché strutturali alle società.

Il legame tra violenza maschile contro le donne e discriminazioni di genere emerge nei centri antiviolenza con molta naturalezza sino a far percepire più morbidi i confini tra violenza intima e differenze salariali, tra bambini testimoni di violenza e divisione dei lavori di cura tra uomini e donne, in un continuum che è la lettura delle donne delle società contemporanee e causa principale di molti problemi specifici dei nostri tempi. 

Obiettivo dei centri è quindi quello di avviare un gender mainstreaming che sappia attraversare orizzontalmente tutti gli ambiti di competenza politica, e quindi di vita delle persone, per garantire alle donne opportunità oggi ancora strutturalmente negate.

La violenza non è un’esperienza lontana, ma è collegata a ogni aspetto dell’esistenza. 

Note

[1] Redatta nel 1979, entrata in vigore nel 1981 e ratificata dall’Italia nel 1985

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