Chi siamo
Settori
Servizi agli iscritti
Iniziative
Formazione sindacale
Monitoraggio appalti
Nei posti di lavoro
Formazione continua
Web Cgil
Politiche di genere
Previdenza
Campagna RSU 2018
I contratti
immigrazione
Documenti
Links utili
Archivi

Primi temi per un confronto sul riordino istituzionale territoriale

Continua a non esserci un disegno organico

Giovedi 11 Ottobre 2012
Condividi con:
Condividi su Twitter Condividi su Diggita Condividi su Technorati Condividi su My Space Condividi su Digg Condividi su Google Bookmarks Invia a un amico Stampa Ti piace
756
Non ti piace
697

Nell'ultimo anno entrambi i Governi che si sono succeduti sono intervenuti con numerosi provvedimenti legislativi sull'assetto istituzionale delle autonomie locali, spinti dalla duplice esigenza di tagliare la spesa pubblica e di soddisfare il malcontento popolare per un sistema politico-istituzionale ritenuto eccessivamente costoso a fronte dell'incapacità di assolvere il compito attribuitogli e, soprattutto, a fronte dei frequenti scandali di natura economica che stanno caratterizzando tutti i livelli istituzionali.
La risposta a questa duplice esigenza, tuttavia, non può essere la riduzione del perimetro pubblico con lo smantellamento del sistema statale nelle sue articolazioni territoriali. Le istituzioni pubbliche, soprattutto quelle locali, devono riacquistare una potenza sociale che consenta loro di governare i processi economici e sociali, e devono tornare ad essere promotrici di sviluppo, riconoscendone come un punto di forza la maggiore prossimità ai cittadini.
Per questo ribadiamo la necessità di un disegno organico che, partendo dalle funzioni e da una razionalizzazione che superi inutili sovrapposizioni, non tradisca i principi del decentramento e dia vita ad un sistema integrato di livelli istituzionali che, nel rispetto delle specifiche titolarità, metta al centro del proprio operato il cittadino e il territorio, riconoscendo alle istituzioni pubbliche il ruolo di motore dello sviluppo.
Un disegno organico di cui il decreto 95/2012 e la relativa legge di conversione (n. 135/2012) non possono essere espressione.

Il decreto 95/2012

Il Decreto S.R. (95/2012) contiene un insieme di misure che riguardano tutta la amministrazione pubblica sui territori e che intervengono su una parte dell'assetto istituzionale del Paese con l'intento di semplificare un'architettura istituzionale complessa. Questa semplificazione, utile se “fatta bene”  deve mirare al rafforzamento e non all'indebolimento delle istituzioni locali e del settore pubblico. Deve essere una semplificazione che, partendo dalle funzioni da esercitare, rafforzi il ruolo di governo delle istituzioni pubbliche, rendendole protagoniste della vita economica e sociale del territorio, e favorisca la realizzazione di un sistema integrato di livelli istituzionali, democraticamente legittimati, che operano nell'interesse della cittadinanza.
In una fase di grave crisi economica e politica il riordino delle istituzioni locali deve mirare a rendere le amministrazioni pubbliche motore di sviluppo, attribuendo loro  un ruolo attivo nelle dinamiche socio-economiche di ciascun territorio. Un ruolo attivo, un governo efficace cui deve corrispondere una legittimità democratica che non è garantita dalle disposizioni contenute nel decreto 95/2012 per le “nuove” Province e per le Città Metropolitane, cui si aggiunge un funzionamento degli organismi di ogni livello istituzionale coinvolto che mina i più basilari principi di democrazia e uguaglianza, rischiando di compromettere ulteriormente la reale rappresentatività degli organi di governo previsti.
Anche su questi temi occorre modificare i contenuti del decreto stesso.
Sull'assetto delle pubbliche amministrazioni occorre assumere come centrale la necessità di definire un nuovo quadro di riferimento (un disegno istituzionale) che riguardi l'insieme  dei servizi pubblici sul territorio e tenga conto dei piani di sviluppo elaborati, coinvolgendo in tale disegno tutti i soggetti istituzionali.

Da ciò occorre far discendere il nostro confronto sul tema delle Province.

Gli  interventi istituzionali contenuti nel decreto spending e nel “Salva Italia” infatti delineano  un quadro contraddittorio attento più ad esigenze “contabili/oggettive” - come nel caso dei parametri numerici ai quali deve rispondere il riordino - piuttosto che ad un disegno organico di riassetto delle istituzioni nel territorio che, partendo dalle funzioni, sia in grado di delineare un'architettura istituzionale idonea a favorire le economie di scala.
Abbiamo quindi la necessità di costruire un quadro di riferimento nazionale che funzioni come cornice nel quale collocare le scelte delle istituzioni territoriali che debbono divenire titolari di questo processo.

Per noi alternativa alla  frammentazione territoriale e dei servizi non è la centralizzazione regionale,  laddove per centralizzazione si intende   la spoliazione del territorio dei servizi esistenti.
Siamo per un riordino che semplifichi, qualifichi i servizi, ma nello stesso tempo li decentri garantendone la fruizione per le persone, che anche in ragione di tale decentramento produca e garantisca il lavoro e che abbia -come conseguenza- la coerente revisione della legislazione regionale e delle modalità di offerta dei servizi pubblici locali.

In questo quadro va affrontato il tema del riordino delle province, evitando duplicazioni, centralizzazioni o nuove esternalizzazioni.
Quali i  problemi da affrontare?

Innanzitutto i tempi.
Sono ordinatori, nonostante il “cronoprogramma”.
Ma l’inclusione del riassetto delle amministrazioni pubbliche, delineato nel decreto e nella manovra finanziaria, e la determinazione di tempi talmente stretti da rendere problematico  il confronto tra le istituzioni nel territorio, e il confronto sindacale sulle tematiche relative al riassetto dei servizi e al tema del lavoro pubblico, rappresenta sicuramente uno strumento che rischia di rendere di difficile attuazione  la gestione di questa complessa fase.
Esiste certo il “cronoprogramma”, ribadito dal Governo,  ma la difficoltà della politica locale, rischia di spostare tutto il carico delle scelte a livello nazionale con l’adozione di un “provvedimento legislativo” (entro il 24 ottobre) che non tenga conto delle peculiarità territoriali.
E’ evidente che in quella sede le difficoltà sono destinate ad aumentare con soluzioni che potrebbero essere assunte in totale autoreferenza, nell’ambiguità rappresentata dalla natura di tale provvedimento (decreto legge o disegno di legge).
Quindi il tema dei tempi è anche per noi un punto politico.
Occorre aver ben chiara la “direzione di marcia”.
Per la CGIL questa non è rappresentata “dai confini delle nuove province” (con annessi capoluoghi) che sembra essere il prevalente interesse della politica locale.
Per la CGIL i temi sono: a) la definizione di un assetto istituzionale che partendo dall'esercizio delle funzioni consenta un governo del territorio efficace e che guardi a tutti gli interventi previsti dal decreto; b) la garanzia del mantenimento dei servizi alle persone ed ai territori; c) la assoluta garanzia occupazionale e di condizioni di lavoro per gli addetti ed anche per i lavoratori precari, valorizzando il capitale umano e favorendo, se necessario, percorsi formativi.
Abbiamo la necessità di affermare innanzitutto tali primi riferimenti con i quali affrontare questa prima fase sia nel confronto interno che nel rapporto con le istituzioni.

Politicamente noi siamo per amministrazioni pubbliche efficaci, inserite in un disegno istituzionale coerente, senza sovrapposizioni, dotate di legittimità democratica, quindi riformate nel contenitore e nei contenuti attente, alle esigenze locali ed al lavoro pubblico.
Quindi sì ad una riforma che abbia queste caratteristiche. Ad esempio non siamo “contro” un riassetto delle province, ma i punti di criticità di questo processo (parametri solo numerici; non esatta ridefinizione delle funzioni; questione monoprovince; sistema elettorale, garanzie di mantenimento dell’occupazione) sono temi sui quali manteniamo un giudizio critico e che in ogni caso dovranno far parte della nostra politica anche con il futuro governo.

Ma occorre affrontare questa fase in modo attento anche dal punto di vista metodologico:

Sarà necessario agire perché:

A)si apra un confronto con le Regioni e con il sistema delle autonomie (non solo con i CAL) sul complessivo  assetto del territorio, come deriva dalle nuove disposizioni in tema di pubbliche amministrazioni: piccoli Comuni; province; redistribuzione funzioni ex province; funzioni amministrative a Comuni, società, fino alla conseguente redistribuzione e riorganizzazione delle amministrazioni centrali sul territorio. Sarà necessario, inoltre, aprire un confronto tra organizzazioni sindacali e istituzioni per garantire i livelli di occupazione e ridefinire l’organizzazione del lavoro. Anche se non è nel decreto spending è evidente che un riassetto istituzionale del territorio porta con sé anche problemi a partire da quelli di governance per la gestione dei servizi pubblici locali. Si tratta di un confronto che deve vedere come interlocutore lo stesso Governo, che dobbiamo sollecitare anche dal livello territoriale. L’insieme di queste misure viene ad agire su territori già colpiti dalla crisi e dai tagli lineari operati negli ultimi anni, privandoli spesso di servizi e posti di lavoro come potrebbe avvenire nel passaggio dalle “attuali” province alle nuove risultanti dal riordino.
B)Sulle province è necessario sin dall’inizio tenere unito il tavolo Regioni, CAL, onde evitare che   emergano fattori di contrasto e scelte diverse  che portino il Governo ad operare diversamente da quanto definito nei territori. Dobbiamo rivendicare una certa flessibilità nelle scelte e nell’adozione dei parametri di riferimento, senza per questo mirare  alla conservazione dell’esistente.
Nel confronto con le istituzioni locali occorre affermare il tema del riordino delle province, nel senso di costruire nuove aggregazioni che:
·    tengano conto della diffusione e distribuzione nel territorio dei servizi, efficacia ed efficienza garantendo almeno il mantenimento dei servizi in essere, definendo in coerenza “bacini ottimali” ;
·    ciascun territorio provinciale deve corrispondere alla zona entro la quale si svolge la maggior parte dei rapporti sociali, economici e culturali della popolazione residente;
·    ciascun territorio provinciale deve avere dimensione tale, per ampiezza, entità demografica, nonché per le attività produttive esistenti o possibili, da consentire una programmazione dello sviluppo che possa favorire il riequilibrio economico, sociale e culturale del territorio provinciale e regionale nonché una diffusione razionale dei servizi;
·    in ciascun territorio occorre garantire la fruizione dei servizi delle amministrazioni pubbliche “centrali”
·    occorre altresì decentrare la presenza nei territori (avvicinare i servizi alle persone, non allontanarli!) in un quadro di coerenza con quanto avviene per i vari servizi.
·    affrontare le problematiche del lavoro pubblico garantendo qualità e stabilità, promuovendo, ove necessari, processi di riqualificazione del personale coinvolto.

Le caratteristiche socio-economiche dei singoli territori e il fine ultimo di garantire e rendere più efficienti ed efficaci i servizi alla cittadinanza, realizzando economie di scala che favoriscano lo sviluppo locale, devono essere anche i principali criteri di riferimento per la gestione associata delle funzioni fondamentali da parte dei piccoli Comuni, chiamati a costituire forme aggregative che potranno coinvolgere anche comuni con maggiore popolazione.

In ragione della conferma delle funzioni di programmazione e di coordinamento delle Regioni, loro spettanti nelle materie concorrenti e “residuali” (art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione), e le funzioni esercitate ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione, occorre affrontare il tema non solo delle modalità di fruizione delle funzioni già delle province, ma nello stesso tempo affrontare le modalità di offerta dei servizi nei territori a partire dalla sanità.
·    In particolare, la problematica “lavoro” che continua ad essere di  livello regionale, va  riassegnata alle nuove province e ridistribuita nei territori (o favorire le forme di accesso) in considerazione della necessità di “non polverizzare” la competenza, se questa passasse ai comuni, garantendo la presenza e la funzione oggi svolta dai Centri per l'impiego. Nello stesso tempo occorre prestare la massima attenzione alle figure di lavoro precario massicciamente impegnate nei Centri per l’impiego con contratti a scadenza, che vanno rinnovati in attesa di stabilizzazione.
·    Analogamente si pone la necessità di declinare la “sussidiarietà” con efficacia della prestazione e ottimizzazione del territori; in particolare occorre affrontare il tema della legislazione regionale nella definizione delle aree ottimali per la aggregazione dei Comuni e per la conseguente allocazione dei servizi pubblici.
·    Nel riassetto del territorio tenere in considerazione il tema delle risorse umane (lavoro dipendente) delle PP.AA, nonché quello del nuovo assetto delle funzioni pubbliche nel territorio: l'obiettivo della riqualificazione dei servizi non può essere separato dall'obiettivo della riqualificazione del personale. Salvaguardare l'occupazione è funzionale, non solo ad evitare l'aggravarsi della crisi in molti territori, ma a mantenere inalterato l'attuale livello delle prestazioni. Semmai è opportuno riqualificare il lavoro attraverso percorsi di formazione e sbloccare i vincoli oggi esistenti sulle assunzioni nei settori di maggiore prossimità e nei lavori di cura alla persona.