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Popolocrazia, di Ilvo Diamanti e Marc Lazar. Edizioni Laterza

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Su populismo, popolocrazia e democrazia

 

Un bravo lavoratore dell’ASPAL (Agenzia Sarda per le Politiche Attive del Lavoro), dirigente CGIL, il quale vorrei coinvolgere ai più alti livelli nella direzione della CGIL nel Sistema Regione, mi ha consigliato la lettura di “Popolocrazia – la metamorfosi delle nostre democrazie”, di Ilvio Diamanti e Marc Lazar, uscito da qualche mese per la Laterza.

Un libro del genere affronta, da un’ottica liberale, il tema della democrazia, cioè della convivenza sociale.

Secondo gli autori il populismo “si caratterizza per un insieme piuttosto primitivo di credenze semplici ed efficaci, che unite vanno a formare un sistema capace di fornire risposte chiare alle domande […]: che cos’è che non va? Perché le cose non funzionano? Chi è colpevole di queste disfunzioni, di queste disgrazie di tutti i tipi, di questa miseria? Quali soluzioni si possono apportare nell’immediato? Le risposte sono evidenti, basate su un discorso fondamentalmente dicotomico: pro o contro, bene o male, si o no, amico o nemico, loro o noi. Per i populisti non esistono problemi complicati, ma unicamente soluzioni semplici, facili da attuare. […] Il populismo riempie ‘un cuore vuoto’.”

Per Diamanti e Lazar la democrazia si è trasformata in popolocrazia, con l’avvento in Francia ed Italia (i paesi da loro analizzati) di discorsi ed organizzazioni populiste, che hanno modificato la sostanza del discorso politico nelle democrazia rappresentative. Questo perché “i populisti, in Francia come in Italia, sono divenuti centrali”. A questo, proprio alla fine del libro, contrappongono la necessità di ricostruire la democrazia rappresentativa, pena la fine della democrazia stessa. Per far questo bisogna “ricostruire un clima di fiducia fra i cittadini e i loro rappresentanti” e “rilanciare il progetto europeo”. Come se il progetto europeo fosse democratico, e non fosse il nucleo della vittoria del liberismo sul compromesso sociale ottenuto, a prezzo di lotte epiche, proprio in Francia ed Italia tra gli anni cinquanta e gli anni ottanta. Il progetto europeo andrebbe sostituito con un’altra cosa, questa si veramente democratica. Ma questo è un altro tema…

Il discorso populista è una costruzione sociale, che si costruisce sull’oggi e su una idea di futuro, che raccoglie dal passato e dalla storia caratteristiche e tratti sociali. Il popolo è in contrapposizione alle élite, le quali governano il mondo di oggi, che non piace e si vuole rivoluzionare.

Oggi tutta la sinistra americana (da Bernie Sanders a tutti i movimenti latino americani), Corbyn e la Linke in Germania, France Insoumise in Francia e Podemos in Spagna, vengono accusati di populismo. Meglio così: significa che sono cosa altra rispetto alle élite.

In Italia, ed in Sardegna, il tema non si affronta, o si rifugge il termine stesso. La verità è che le élite dei partiti “di sinistra”, ed anche di molti sindacati, sono stati, nella concretezza degli atti, avversi al popolo. Sono stati parte di quella élite che fa star male il popolo.

La riposta istintiva è: viva il populismo, e costruiamo una proposta populista. In Italia tutte le strutture politiche l’hanno fatto: manchiamo solamente noi. 

Nel caso del sindacato l’obiettivo deve essere rafforzare un sindacato popolare, umile, povero, a rete, sempre più confederale, che viva e si rafforzi sulla differenziazione noi/loro (chi sfrutta e chi è sfruttato), che abbia come cruccio continuo organizzare i più disorganizzati ed i più poveri (lavoratrici e lavoratori precari, giovani, disoccupati).

In questi giorni è nelle sale cinematografiche sarde ed italiane “Il giovane Marx”. Ne consiglio a tutti la visione. Quel giovane Marx oggi sarebbe più arrabbiato di allora, e di sicuro sarebbe accusato di populismo.

Enrico Lobina